La riscoperta del valore dell’affissione parte dalla dimensione digitale. Sono, infatti, le aziende più “tech” a fare ricorso al più tradizionale media dell’out of home per fare engagement tra i consumatori. Come? Combinando contenuti digital e big data alle piattaforme più classiche. E, stando ai due casi qui descritti, il risultato è garantito, coinvolgente e memorabile.

In uno scenario in cui i brand competono in modo sempre più agguerrito, l’out of home si evolve e offre più opportunità che mai di toccare, interagire e ingaggiare i consumatori in modo creativo e dirompente. Se ne sono accorte anche aziende cosiddette “tech”, quelle il cui business primario è la vendita di servizi digitali. Oggi che il digital marketing la fa da padrone nel panorama della comunicazione, società come Twitter e Spotify sono diventate le nuove piattaforme di advertising, ma quando si tratta di pubblicizzare loro stesse, si rivolgono al tradizionale media dell’affissione. Vediamo come.

L’affissione per i social
Immagine della campagna realizzata da Twitter

Immagine della campagna realizzata da Twitter

Una settimana prima del giorno delle elezioni americane Twitter usa l’affissione tradizionale per posizionarsi come la piattaforma social dove succedono le conversazioni che contano, in tempo reale e con diverse prospettive. L’obiettivo di Twitter è di diventare il più importante servizio di informazione al mondo. È Twitter ad aggiudicarsi il Grand Prix per l’affissione tradizionale ai Cannes Lions di quest’anno. La campagna, creata in casa, include una serie di manifesti senza alcun copy: solo un hashtag vicino ad immagini di attualità e cultura. Quella del lancio mostra gli occhi di Hillary Clinton e Donald Trump che dall’alto fissano New York. Nelle settimane successive quasi due dozzine di altri manifesti sono apparsi nella Grande Mela, a Los Angeles e a San Francisco, con layout adattati al contesto: dai due candidati il focus è virato sui temi emersi durante la campagna elettorale, dal Black Lives Matter alla crisi in Siria, dai diritti dei gay all’ambiente e altro. Colpisce il commento di Jayanta Jenkins, global group creative director di Twitter, convinto che l’OOH sia un media “veramente bello e potente per umanizzare i brand di tecnologia. Per noi è un modo incredibile per far guardare le persone in su, via dai loro device, e ricordare loro delle conversazioni che succedono su Twitter”.

Data-driven OOH
Immagine della campagna Spotify realizzata a New York

Immagine della campagna Spotify realizzata a New York

Anche Spotify del resto ha dimostrato di amare il grande formato. Con “Grazie, 2016. È stato strano”, l’azienda che offre musica in formato digitale ha celebrato le stranezze dei propri clienti facendo leva sui dati raccolti sull’utilizzo della piattaforma. La campagna globale è stata distribuita in 14 paesi diversi con 164 messaggi personalizzati ed esposti esattamente nelle aree geografiche dove vivevano gli utenti dai cui account Spotify ha estratto i dati. I messaggi erano anche legati ad argomenti di discussione ed eventi significativi a seconda del paese in cui era pianificata. Ecco alcuni copy esilaranti: “Care 3.749 persone che avete ascoltato It’s the End of the World as We Know It il giorno del voto per la Brexit, tenete duro”; “A te che hai ascoltato Sorry ben 42 volte il giorno di San Valentino, che cosa hai fatto?”; “Alla persona di NoLIta (quartiere nel borough di Manhattan) che ha iniziato ad ascoltare canzoni di Natale a giugno, davvero canticchierai fino alla fine?”. Anche in questo caso la tecnologia si intreccia a un media tradizionale e, in un modo molto innovativo e coinvolgente, si umanizza. Per celebrare un anno di musica e la sua community l’azienda non racconta la propria storia, ma quella degli utenti. Ovvero utilizza i dati in modo creativo e coinvolgente, portando i singoli utenti, con il loro carico di esperienze ed emozioni, al centro della propria campagna di comunicazione. “Si discute spesso sul fatto che i big data possano soffocare la creatività, ma noi abbiamo fatto il contrario”, ha sottolineato Seth Farbman, CMO di Spotify. “Per noi i dati sono fonte di ispirazione e ci danno una chiave di lettura delle emozioni che le persone esprimono.