L’Istituto Superiore di Sanità le ha definite “mascherine di comunità”. Molte aziende attive nell’ambito dell’industria tessile hanno iniziato a realizzarle per far fronte alle difficoltà di approvvigionamento e offrire un servizio alla comunità. Mentre gli scienziati studiano le migliori combinazioni di materiali, online (ma anche nei negozi) se ne trovano in colori, forme e stampe di ogni tipo.

Le mascherine sono ormai sulla bocca di tutti, letteralmente. In base al DPCM del 26 aprile il loro utilizzo è diventato obbligatorio all’interno di spazi confinati o all’aperto in cui non sia possibile garantire il distanziamento fisico. In alcune regioni l’obbligo di indossarla è stato esteso anche ad altri contesti. Attualmente, i dispositivi FFP (Filtering Face Piece) sono gli unici in grado di impedire a eventuali particelle di contaminare il sistema respiratorio di chi le indossa. Le mascherine chirurgiche, a uso medico, sono invece funzionali a proteggere gli altri. Sviluppate per essere utilizzate in ambiente sanitario e certificate in base alla loro capacità di filtraggio, rispondono alle caratteristiche richieste dalla norma UNI EN ISO 14683-2019 e funzionano impedendo la trasmissione.

Di fronte all’iniziale difficoltà riscontrata da molti a reperire questi dispositivi di protezione individuale a prezzi accessibili, molte aziende legate alla filiera tessile hanno cominciato a riconvertire le proprie produzioni per far fronte a questa esigenza. Sono nate così quelle che l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha definito “mascherine di comunità”. Il 9 maggio lo stesso ISS ha pubblicato alcuni chiarimenti sul loro corretto utilizzo, giudicandole comunque una misura complementare utile a contenere il rischio di trasmissione del virus. Come le mascherine chirurgiche anche queste hanno la funzione di proteggere gli altri e non se stessi.  Come previsto dall’articolo 16 comma 2 del DL del 17 marzo 2020, hanno lo scopo di ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana e non sono soggette a particolari certificazioni. Non devono essere considerate né dei dispositivi medici né dei dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica utile a ridurre la diffusione del virus SARS-COV-2 pur non potendo in alcun modo sostituire il distanziamento fisico, l’igiene costante e accurata delle mani e l’attenzione a non toccare viso, occhi, naso e bocca. In base al comma 2 dell’articolo 3 del DPCM del 26 aprile le mascherine di comunità possono dunque essere utilizzate a patto che si tratti di dispositivi realizzati con materiali multistrato, che non devono essere né tossici, né allergizzanti né infiammabili. Sempre secondo l’ISS, per risultare efficaci, le mascherine di comunità devono garantire comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento al di sopra del naso.

Nel frattempo, uno studio condotto da un team di ricerca statunitense – i cui risultati sono ancora da confermare – e pubblicato sulla rivista ACS NANO ha provato a decretare quali possano essere le combinazioni di materiali che non lasciano passare le goccioline potenzialmente contenenti il nuovo coronavirus. Il materiale più efficiente sembrerebbe essere un sottile strato di cotone combinato con due strati di poliester-spandex chiffon; risultati simili si ottengono associando il cotone a strati di seta o flanella. Mentre le stesse aziende mettono in campo i propri reparti di ricerca e sviluppo per perfezionare le soluzioni esistenti, il web ha cominciato a popolarsi di questi articoli che sono infine giunti anche nei piccoli negozi di quartiere. Ne esistono ormai in forme, colori e composizioni molto diverse. Riviste come Vogue America hanno cominciato a realizzare liste e selezioni di mascherine, giudicandole anche in base all’estetica, proprio come un qualsiasi accessorio alla moda. Non sarebbe la prima volta nella storia dell’umanità che questo genere di prodotto si trasforma in una sorta di “must have”.

Recentemente, in un articolo apparso sul New York Times, il medico e antropologo Christos Lynteris ha dichiarato come già alla fine degli anni dieci, nel periodo dell’influenza spagnola, fossero diventate un accessorio di utilizzo quotidiano. Senza dimenticare che in molti paesi asiatici, ben prima dell’inizio della pandemia, venivano utilizzate per una questione di educazione, prima ancora che di protezione individuale. Difficile dire ora se, passata l’emergenza, cominceremo a considerarle come parte integrante del guardaroba. Quel che è certo è che non si tratta di un’ipotesi così assurda.

Nella foto: mascherine personalizzate EcoTex dell’azienda di stampa digitale Imagink, di Bolzano, realizzate in tessuto poliestere 100%, traspiranti e lavabili.